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La Cassazione ha quindi enunciato il seguente importantissimo principio di diritto:

L’atto di pignoramento presso terzi eseguito dall’agente di riscossione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 72-bis in sede di esecuzione esattoriale, sebbene preordinato alla riscossione coattiva di crediti erariali, non acquisisce per ciò stesso la natura di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti degli articoli 2699 e 2700 cod. civ., conservando invece quella di atto processuale di parte. Consegue che l’attestazione ivi contenuta delle attività svolte dal funzionario che ha materialmente predisposto l’atto (nella specie, concernente l’allegazione di un elenco contenente l’indicazione delle cartelle di pagamento relative ai crediti posti in riscossione) non è assistita da fede pubblica e non fa piena prova fino a querela di falso, a differenza di quanto avviene quando l’agente di riscossione esercita – Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, ex articolo 49, comma 3, – le funzioni proprie dell’ufficiale giudiziario, ad esempio notificando il medesimo atto“.

 

Svolgimento del processo

Equitalia Sud s.p.a. procedeva, ai sensi dell’art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, a sottoporre a pignoramento, per un credito di euro 11.540,76, le somme dovute dall’Azienda Sanitaria Locale – ASL TA a G.S..

Il Tribunale di Taranto, con sentenza del 19 maggio 2015, accoglieva l’opposizione agli atti esecutivi proposta dalla S., dichiarando la nullità dell’atto impugnato per omessa indicazione dei crediti per i quali si procedeva.

Avverso tale decisione l’agente di riscossione propone ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 111 Cost., articolato in due motivi. Nè la debitrice, né l’ente terzo pignorato hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.1 Con il primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, dell’art. 543 cod. proc. civ. e degli artt. 2699 e 2700 cod. civ.

1.2 La sentenza impugnata, posta in disparte la questione della regolare notificazione delle cartelle di pagamento o degli avvisi di mora, si fonda su due considerazioni, l’una in punto di diritto e l’altra in punto di fatto.

La considerazione in punto di diritto e che al pignoramento presso terzi ex art. 72-bis d.P.R. n. 602/1973 si applica, in quanto non espressamente derogato dalla disciplina speciale e con essa compatibile (art. 49, comma 2, d.P.R. n. 602/1973), il disposto dell’art. 543, secondo comma, n. 1, cod. proc. civ., secondo cui l’atto in questione deve contenere l’indicazione del credito per cui si procede. Poiché nell’esecuzione forzata esattoriale gli unici atti che rendono edotto il debitore del contenuto del titolo esecutivo sono la cartella di pagamento ed eventualmente l’avviso di mora, la previsione del requisito contenutistico dell’atto di pignoramento implica quantomeno il riferimento a tali atti, i quali a loro volta indicano, specificandone la fonte e la natura, il credito per il quale si procede a riscossione.

In punto di fatto, il tribunale ha rilevato che l’atto di pignoramento contiene una insufficiente specificazione del credito, indicato solamente con la generica dicitura «€. 11.540,76 per tributi/entrate», senza alcun riferimento alle relative cartelle di pagamento. Poi aggiunge: «Non può dirsi che tali indicazioni possano ritrarsi per relationem dal corpo dell’atto di pignoramento notificato, come sostiene la società opposta. Non vi infatti dimostrazione che con tale atto sia stato effettivamente notificato all’opponente anche l’elenco delle cartelle per cui si procede, il quale, nella produzione di Equitalia Sud S.p.A., si trova materialmente spillato all’atto di pignoramento presso terzi (…). In realtà, (…) non vi è alcuna ragionevole sicurezza che tale elenco facesse effettivamente parte dell’atto di pignoramento, come notificato il 20 novembre 2012 alla S., posto che esso non reca alcun timbro di unione a tale atto, contiene una data apparente posteriore a questo (13 novembre 2012), redatto su un documento separato rispetto a quello principale, è posto dopo la parte conclusiva di quello recante la data dell’8 novembre 2012 ed è anche privo di alcuna autonoma sottoscrizione».

1.3 il ricorso in esame non contiene alcuna censura delle ragioni di diritto poste a fondamento della decisione impugnata.

La ricorrente, piuttosto, sostiene che l’effettiva allegazione, all’atto di pignoramento, dell’elenco delle cartelle di pagamento per cui si procedeva non potesse essere posta in discussione, stante la fede privilegiata di cui godono i fatti accertati dal pubblico ufficiale. Tale fidefacienza, in particolare, doveva essere riferita all’attestazione del responsabile della procedura contenuta a pag. 2 dell’atto di pignoramento, relativa all’allegazione allo stesso dell’elenco delle cartelle di pagamento.

1.4 il motivo è infondato e deve essere rigettato, non ricorrendo i presupposti per l’applicazione degli artt. 2699 e 2700 cod. civ.

Infatti, l’atto di pignoramento presso terzi, anche quando è predisposto nelle forme previste dall’art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, in tema di esecuzione esattoriale, ha la natura di atto esecutivo e, quindi, di atto processuale di parte. La fidefacienza di cui all’art. 2700 cod. civ. è riservata ai soli atti pubblici, sicché si rivela infondata l’affermazione secondo cui il pignoramento eseguito dall’agente di riscossione fa piena fede, fino a querela di falso, dell’attività compiuta per la sua redazione, inclusa l’effettiva allegazione dei documenti ivi menzionati.

1.5 Piena conferma di ciò si trae anche dalla previsione, contenuta nell’art. 49, comma 3, d.P.R. n. 602 del 1973, secondo cui «le funzioni demandate agli ufficiali giudiziari sono esercitate dagli ufficiali della riscossione».

In sostanza, nell’ambito dell’attività dell’ufficiale di riscossione, occorre distinguere il caso in cui egli esercita le funzioni proprie dell’ufficiale giudiziario, rispetto alle quali assume la veste di pubblico ufficiale ed è conseguentemente dotato dei poteri di fidefacienza previsti dagli artt. 2699 e 2700 cod. civ.; dal caso in cui agisce quale operatore privato ed è quindi sprovvisto dei citati poteri.

Mentre la notificazione dell’atto di pignoramento costituisce funzione tipica dell’ufficiale giudiziario, sicché all’agente di riscossione che ad esso si sostituisce vanno riconosciuti gli stessi poteri, altrettanto non può dirsi per la stesura dell’atto medesimo, che non rientra fra le attribuzioni dell’ufficiale giudiziario, ma costituisce un atto di parte.

Consegue, in ultima analisi, che le affermazioni contenute nell’atto di pignoramento presso terzi predisposto dall’ufficiale di riscossione non godono, al pari di quelle contenute in un qualsiasi atto processuale di parte, di alcuna presunzione di veridicità fino a querela di falso.

1.6 Va dunque affermato il seguente principio di diritto:

“L’atto di pignoramento presso terzi eseguito dall’agente di riscossione ai sensi dell’art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973 in sede di esecuzione esattoriale, sebbene preordinato alla riscossione coattiva di crediti erariali, non acquisisce per ciò stesso la natura di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2699 e 2700 cod. civ., conservando invece quella di atto processuale di parte. Consegue che l’attestazione ivi contenuta delle attività svolte dal funzionario che ha materialmente predisposto l’atto (nella specie, concernente l’allegazione di un elenco contenente l’indicazione delle cartelle di pagamento relative ai crediti posti in riscossione) non è assistita da fede pubblica e non fa piena prova fino a querela di falso, a differenza di quanto avviene quando l’agente di riscossione esercita – ex art. 49, comma 3, d.P.R. n. 602 del 1973 – le funzioni proprie dell’ufficiale giudiziario, ad esempio notificando il medesimo atto”.

1.7 Le ulteriori considerazioni esposte nel motivo in esame concernono profili di fatto (circa l’effettività dell’allegazione dell’elenco di cui si è più volte detto) e sono quindi inammissibili in questa sede.

1.8 Il primo motivo va quindi respinto.

2. Il secondo motivo, relativo alla condanna alle spese processuali, è prospettato come meramente consequenziale all’accoglimento del motivo principale.

Pertanto, esso è assorbito dal rigetto del primo motivo.

3. Nulla si dispone per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto né la S., né l’ASL TA hanno svolto attività difensiva.

Sussistono, invece, i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, dal parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

 

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